Scrivere di tecnologia richiedere una qualità: la competenza.
Grazie a internet, quello che scriviamo e pubblichiamo è subito fruibile da una vastissima platea, che può apprezzare il nostro prodotto solo se a una successiva verifica quello che abbiamo asserito si riveli veritiero.
Nell’ambito della virtualizzazione ciò si traduce per gli autori, siano essi semplici blogger come me o autori di libri, nell’avere a disposizione un ambiente per testare, sperimentare e documentare.
Tanto più questo laboratorio si avvicina per caratteristiche e complessità a un vero ambiente di produzione, tanto più i nostri esperimenti saranno veritieri, e quindi utili per i nostri lettori.
Nel tempo, questa necessità ha portato molti di noi a realizzare veri e propri laboratori, o vLab come ci piace chiamarli. Ma come coniugare le esigenze indicate prima con gli indubbi costi e altri problemi che gestire un ambiente di questo tipo in casa propria comporta?
Questo articolo vuole essere un tentativo di analizzare le varie soluzioni che abbiamo a disposizione, valutando per ognuna pregi e benefici.
Senza la pretesa di essere una guida definitiva sull’argomento, vuole darvi alcuni spunti utili per permettervi di progettare il vostro vLab.
Full Lab
Se avete la fortuna di avere ampi spazi, un costo dell’elettricità basso, e un ampio budget a disposizione, questa è ovviamente la soluzione perfetta.
Ricreare in casa un ambiente completo con armadi rack, servers, gruppi di continuità, storage di fascia media, switch gestiti per connettività ethernet e magari anche fibra, vi consentirà di sperimentare qualsiasi cosa esista nel catalogo VMware.
Ho un’ammirazione sconfinata per il laboratorio di Jason Boche, che possiede in casa una struttura informatica che farebbe invidia a molte delle aziende per le quali faccio consulenza.
Pro:
– potrete provare qualsiasi cosa (se ad esempio dovete fare test sulle connessioni FC, l’unico modo è possederle)
– potete effettuare test prestazionali
– il laboratorio è sufficientemente capiente da contenere diverse decine di VM, suddivise per i vari test che conducete, senza dover ogni tanto “fare spazio” per nuovi test cancellando e rifacendo le VM
Contro:
– i costi: concordo con Jason sul fatto che un simile investimento si ripaga con la professionalità che un laboratorio simile permette di ottenere, ma non tutti possono permettersi certi componenti nemmeno risparmiando per anni
– consumi elettrici: in Europa, e in particolar modo in Italia, l’elettricità ha costi insostenibili per pochi computer, figuriamoci per un intero lab
– spazio: vi servirà una cantina o comunque un locale apposito
– rumore: il locale dedicato dovrà oltretutto essere isolato opportunamente per non incorrere nelle ire di vostra moglie
“labtop”
Non è un errore di battitura, ma la contrazione di “lab in a laptop” :-).
Con gli ultimi prodotti arrivati sul mercato, capaci di ospitare fino a 32 gb di ram e hard disk multipli, è possibile realizzare un vero e proprio laboratorio mobile.
Unite questi prodotti alla possibilità di realizzare installazioni nested di ESXi all’interno di VMware Workstation 8, e abbiamo una piattaforma in grado di eseguire due-tre hosts, uno storage condiviso anch’esso virtuale, e creare con i LAN segments di VMware Workstation le varie reti di cui avremo necessità.
Io stesso anni addietro mi ero dotato di un notebook molto capiente per l’epoca, con 8 gb di ram e 500 gb di hard disk, e avevo realizzato parte dei miei articoli con questa piattaforma.
Pro:
– potete utilizzare il laboratorio anche in viaggio (anche se questi notebook non durano tantissimo quando alimentati con la batteria interna), o per effettuare demo presso clienti. Più di una volta un mio server ESXi virtuale è servito per effettuare dei lavori presso clienti…
Contro:
– scordatevi i test prestazionali: se usate dischi SSD non avrete abbastanza spazio per creare un numero discreto di VM, se usate dischi classici (anche gli ultimi modelli a 7200 giri) verranno messi a dura prova dall’esecuzione contemporanea di 2-3 VM
– i costi: sebbene infinitamente più economici di un full lab, sistemi del genere costano almeno 3000 usd, e in proporzione a quanto ci possiamo fare sono comunque tanti
– espandibilità: avrete probabilmente comprato un notebook dotato fin dall’inizio di tutti i componenti migliori che al tempo potevate metterci, ma arriverà un giorno in cui l’evoluzione tecnologica lo renderà obsoleto, e non potendolo aggiornare dovrete programmare la sua sostituzione. Questo è fondamentalmente il motivo di questa mia analisi: il notebook di cui sopra andava benissimo per simulare ambienti VMware 3.5, benino per 4.0, male per 5.0, soprattutto considerando vCloud e tutte le varie VM che sono richieste per simulare un ambiente completo.
Whitebox
E’ un computer di marca o assemblato, sul quale carichiamo più RAM che possiamo per provare poi a installare ESXi. Sebbene sia assolutamente non supportato da VMware, è probabile trovare una conbinazione di componenti hardware che ESXi riconosca.
Consente di realizzare un server su cui eseguire l’hypervisor di VMware col minor costo possibile, eliminando di fatto da un sistema x86 tutte le ridondanze che rendono un vero server la scelta negli ambienti di produzione.
Questa è da sempre la strada maestra intrapresa da moltissime persone, dato che rappresenta il miglior compromesso tra costi e prestazioni.
Pro:
– i costi: è possibile realizzare mini-server single socket e 16 gb di Ram per meno di 500 usd cadauno
– da la possibilità di lavorare su un hypervisor bare-metal. Non per tutti questo elemento rappresenta un limite, ma per alcune attività gli ESXi nested non sono sufficienti…
– potete abbinare a un paio di questi nodi un piccolo storage iscsi e realizzare un cluster VMware perfettamente funzionante
– i test prestazionali “potrebbero” avere un senso, ovviamente a dipendenza di quanto carico tentate di applicare al sistema
Contro:
– con ESXi 5.0 e i requisiti delle varie VM e appliance, 16 Gb di ram su due nodi finiscono in fretta. vCloud e View sono due esempi classici in tal senso
– si ripropongono in parte i problemi legati allo spazio fisico e ai consumi energetici
vCloud
Esiste una quarta opzione, rappresentata da un virtual datacenter interamente ospitato in una struttura vCloud. Il Vmworld 2011 con i suoi hands-on lab ci ha chiaramente mostrato che questa strada è assolutamente percorribile.
Pro:
– applichiamo il modello pay-as-you-go anche al nostro lab, accendendolo e pagandolo unicamente quando ci serve
– potenza hardware: essendo quella del datacenter che ci ospita, i limiti prestazionali diventano minimi se non inesistenti
– tempi di provisioning: il fast provisioning di vCloud permette di avviare un nuovo laboratorio in poco tempo
– il laboratorio è raggiungibile da qualsiasi punto di internet
Contro:
– siccome l’abilitazione dei Nested ESXi su vCloud non è supportato da VMware in ambienti produttivi (leggete questo articolo di William Lam su come abilitare questa funzione) non troverete nessun vCloud Datacenter che vi metterà a disposizione virtual machines ESXi (felice di essere smentito…)
– lavorate in un ambiente condiviso, pertanto le performance “potrebbero” non essere uniformi come in un ambiente dedicato
– accendere diversi nodi ESXi e uno storage condiviso potrebbe non essere così economico in un ambiente cloud, dove il costo maggiore è proprio dato dalla ram
Cosa scegliere?
Ognuno di voi è libero di intraprendere la strada che ritiene migliore per le proprie esigenze, anche confutando alcune delle analisi che vi ho proposto.
Per l’ aggiornamento del mio vLab, sono tornato dopo anni alla soluzione Whitebox, e nei prossimi articoli vi mostrerò le scelte progettuali che ho compiuto nel realizzarlo.